martedì 27 dicembre 2011

CAMBIO DI NATALE

Lo spread non è niente di economico. E’ quel faccino contrito lì, che fa all’improvviso illuminandosi di rosso. E sai che cacca sarà. Che cacca è. Che puzza subito, immediatamente si salda alle narici e non va via più. E allora attacchi il cambio di Natale, che la mamma è a messa e qui ognuno fa penitenza come crede. Io tolgo lammerda, per esempio. Prima mossa: bloccare i piedini. Facile, se non fosse che la creatura è perfettamente snodabile e dopo 20 secondi si è già avvitata su se stessa una decina di volte. Non c’è esorcista che tenga, il pargolo è posseduto, e se non lo tieni ben fermo al fasciatolo scatta la molla al contrario e vola via come un’elica. Scollamento adesivi, panorama mozzafiato, ebbrezza quasi alcolica. Deiezioni Mapei, collanti per pavimenti, cemento gommoso, quella consistenza lì. Dal pistolino alla colonna vertebrale, un’unica colata ben composta. Urgono salviettine umidificate per nettare il regal culetto. Presente della mamma: sorpresaaaaaa, le salviettine sono finite. Uno non è che ha fatto sport tanti anni per niente, eh. Apertura alare da uomo vitruviano ed ecco agganciata la carta igienica. Un morso al rotolo e due strap, via. Immediata collusione tra cacca e carta , fusione industriale, composit perfetto. Non resta che l’acqua. Il salvifico rubinetto. Decollo dal fasciatolo, preventivate turbolenze da elica in rotazione, posizionamento dell’11 chili ciccioso sul braccio sinistro, acqua bollente, poi fredda, poi bollente, poi fredda. Bestemmia. Ritiro bestemmia, che cazzo di educatore sei. Servirebbero gli idranti della polizia, guarda. Rivedo la pelle rosa, c’è, esiste. Il volo di ritorno verso il fasciatoio è più confortevole, più che altro è un lancio del peso. L’asciugatura-cabaret è il mio forte: consiste in una collaudata scaletta di battute, gorgheggi e smorfie atte a distrarre il lattante di turno mentre gli arti inferiori passano a concludere e raffinare il lavoro. Il pannolino con tecnologia termonucleare per un confort adeguato del cliente è studiato appositamente per portare il genitore alla caduta dei capelli-tic-psoriasi-sbronza. Le clips, poi: chi le ha inventate merita una morte atroce e lenta, una cosa medievale andrebbe benissimo. Il pantaloncino di vellutino a coste con elastico rinforzato che fatica a superare le colonne d’ercole delle anche è ostacolo per pivello. Ma ecco che arriva il secondo regalo della mamma: sorpreeeeeeesaaaaaaaa, la camicina. Non una shirt qualsiasi da infilare, no: 167 piccole asole da riempire con bottoni assolutamente sproporzionati. Il bambino guarda il suo orologio biologico e si rende conto di essere sul tavolo operatorio da trequarti d’ora. E si ribella innescando una catena di manovre da guerriglia. La camicina non dà scampo. E io alzo bandiera bianca. Operazione cambio di Natale fallita. Camicia agganciata di sguincio, maglioncino infilato solo per la testa, tipo poncho, calzini antiaderenti calzati sopra i pantaloni, come i ciclisti della Parigi-Roubaix degli anni 30. Il rilascio del prodotto finito in terra avviene appena un’ora dopo: schizza via, a giocare trasandato. Mentre io cerco la morte in un chilo di pandoro nel latte. 

venerdì 23 dicembre 2011

LEHNERIADE (puntata 15, della lotta in montagna)

Fa freddo, c'è la neve. Cosa c'è di meglio che andarsene sui Monti e darsi alla lotta? Per finire bene l'anno, ecco gli imperdibili auguri di buon governo di Giancarlo Lehner:

"Caro Mario Monti, avendo appreso quanto guadagnano, ogni dodici mesi, i grandi ladroni di Stato, io, parlamentare ladispolano della Repubblica, mi accingo a salire in montagna, a Tolfa, per  passare alla lotta armata. Certo, il gesto e' non poco insano, ma tu, superMario, potresti salvarmi, tagliando e ritagliando, sino a fissare un tetto massimo - 100 mila euro, ti pare poco? - ai parassiti nazionali, purtroppo gratificati da tutti i governi, financo il mio, quello di Berlusconi. Se non lo fai non sarai defenestrato da Palazzo Chigi dai moribondi partiti politici, bensi' dal popolo incazzato e, purtroppo, armato e bombarolo. Caro Mario intervieni subito, per evitare che il pensionato a 800 euro al mese, teste' condannato a pagare il doppio della vecchia Ici, prepari vendette cruente contro i ladroni di Stato".

Tanti auguri Giancarlone, e grazie per lo splendido 2011 che tu e il tuo spacciatore mi avete regalato.

giovedì 22 dicembre 2011

TUTTI AL MAREEE

Pare che lo facciano apposta. E invece ci sono. All'inizio tutti, ci sono. Poi tutti se ne vanno. E ne restano pochissimi, che non si sa cosa ci facciano più.  Ore di blatero professionista: "onorevoli colleghi", interesse del Paese, sacrifici, ne siamo consapevoli, il nord che lavora, il sud che rubacchia, i lavoratori, le operaie, i pensionati, l'Europa. Ore a tradire l'italiano, con le d che diventano t, e le c che diventano g. E i logopedisti a far festa in una foresta di erre mosce che stuprano i congiuntivi. Ore a dire sempre le stesse cose, che speri che poi abbiano detto e invece no, dicono ancora. Poi arriva il voto, e mentre votano il sangue e le lacrime scambiandosi doni, infilano la giacca e armano i trolley. Che la festa è finita, anzi comincia. Lo scrivono pure le agenzie. La DIRE, per esempio:  

Si chiude in un'aula deserta e con uno numero che chiama in causa la scaramanzia l'iter del decreto 'salva Italia' in Parlamento. Mentre il presidente del Senato Renato Schifani legge l'esito del voto (257 si' su 299 presenti), sono diciassette i senatori ancora nell'emiciclo, piu' o meno equamente divisi tra centrodestra e centrosinistra. Mario Monti e' al suo posto, seduto al banco del governo con attorno i ministri. Gli altri senatori, molti dei quali trolley alla mano, hanno gia' lasciato palazzo Madama: le feste di Natale per loro sono gia' iniziate. In Senato si torna il 10 gennaio.
Ed è questo il senso di tutto. Monti che guarda questi cialtroni affrettarsi a prendere le ferie. Vorresti dirgli, a Monti, che la sua manovra fa cagare. Nel merito, vorresti dirglielo. Ma come fai. Li guardi, poi guardi lui al suo posto. E gli dici che c'ha ragione. E gli metti una mano sulla spalla. E te lo coccoli persino, quel pezzo di persona seria. Macheccazzo.

mercoledì 21 dicembre 2011

L'ULTIMA PUNTATA

Ad un certo punto le roulette si ribalteranno tra i parati, e la musica rallenterà nei cocktail da gentiluomini. E i soldi riposeranno comodi nei materassi. Gli sbirri resteranno bloccati dal livore impotente e torneranno in Centrale con le pive nel sacco. Il grammofono gracchierà la festa dell’illegalità, e non ci sarà bisogno di una banana in bocca tenuta stretta dal canovaccio, niente accento svedese: Fantozzi è lei? L’ultima puntata del calcioscommesse è un fumetto ridicolo. Una fiction che s’è persa per strada pure il minimo sindacale del buongusto.
Confesso che ho molto peccato, in pensieri, poche parole e molte omissioni: ho sfogliato il giornale e bruciato la cronaca del pallone fallito. La decadenza ormai annoia. Non c’è più redenzione per le partite col trucco slavato, come le puttane all’alba: anime stracciate. Niente è più brutto del gioco rovinato: non è questione di giocattoli rotti ed altre metafore ruminate dal luogo comune, è proprio che al divertimento basta un soffio di sospetto per degradarsi. Le regole sono – devono essere – poche e limpide. Se ci sputi su, poi finisce che ci sguazzerai per sempre. E non c’era bisogno di arrivare all’ultimo Doni per rendersene conto. Basta respirare una partita qualunque, in un bar qualunque: appena il difensore liscia il pallone la partita è venduta. Il centravanti sbaglia ad un metro dalla porta? La combine è palese. E’ così che s’è scassato il sogno. Non oggi, l’altro ieri.
Il peccato originale del calcioscommesse anni ’80, quello aveva persino un suo fascino, con le crepe nello specchio e lo scandalo vero. Ora no: già tutto è stato fatto, tutto visto, tutto digerito. Glielo leggi negli occhi spenti: nessuno si scandalizza più di nulla. Atmosfera da anni ’30, con la disillusione del nuovo millennio. Le roulette sono incassate nel cartongesso, l’ispettore lo sa, scava e trova capitani che scappano in pigiama, con la voce in falsetto al telefonino. Facciamo altro, dai. Pensiamo ad altro. Che quelli, i Doni di questo gioco malato, nemmeno se ne rendono conto di quanta mestizia portano addosso. Ci scommetterei.

giovedì 15 dicembre 2011

MENTANA IN COPORE SANO

Chicco Mentana è il direttore del TgLa7. Punto. Cominciamo da qui, e finiamola qui. C’è chi può fermarsi a questa affermazione incontrovertibile. Andare avanti con la propria vita, scaricare i figli a scuola, fare la spesa, imbarcarsi su un cargo battente bandiera liberiana. Chi invece ha un altro po’ di tempo da perdere può riesumare da Canale 5 la Telefonata di stamattina tra Mentana e Belpietro oppure stamparsi le note incrociate dei diretti interessati sull’evento che ha rischiato di cambiare il mondo come tutti lo conosciamo (ma anche no).
Ieri – lo premettiamo per chi si fosse ripreso solo ora dal coma – Mentana ha annunciato le dimissioni dal suo tg. Perché il suo cdr e quei sindacalisti volpini di Stampa Romana avevano annunciato di volerlo denunciare per comportamento anti-sindacale. Fuffa, insomma. Nessuno aveva ancora fatto niente. Ma tutti avevano fatto abbastanza. Mentana aveva superato “manovra” e “farmacisti” nelle chiacchierate d’ascensore. Ah signora mia, non ci sono più i direttori d’una volta… E Paolo Butturini, il segretario del sindacato romano, era diventato quasi famoso come Lady Gaga. Alla sera, mentre mezzo mondo gli aveva già appiccicato le chiappe alla poltrona del Tg1 svuotata da Minzolini, Mentana si ripresenta in video. Spiega la situazione, una tiritera noiosa che non val la pena di riportare: roba attinente al rapporto di fiducia con i suoi giornalisti e all’impossibilità di lavorare con chi ti ha appena denunciato. Poi chiude con: “A domani”.
Ecco il punto. Ancora oggi, mentre scriviamo, Stampa Romana, Mentana e il cdr del TgLa7 stanno giocando una bolsa partita a tre per chiarire chi è che ha sbagliato cosa e chi deve chiedere scusa a chi. Mentre tutti sanno come va a finire, perché lo spoiler involontario è sfuggito a Mentana ieri in diretta: “Non andrò certo al Tg1, a domani”. Cioè a stasera, pronti in poltrona a farcire i dati Auditel di La7.
Resta lo scempio di energie speso per seguire una notizia-non notizia. Di quelle che Mentana avrebbe infilato magari a fine scaletta (come in realtà ha fatto pur trattandosi di cose lo riguardano personalmente) o che Minzolini avrebbe illuminato con una bella apertura, appena prima dei pinguini che miagolano nel buio e un attimo dopo il servizio sui credenti in Babbo Natale.
Potremmo anche distillare dalla vicenda una bella lectio di categoria sui diritti-doveri-problemi del sindacato più impolverato di sempre. O al massimo ricavarci uno spassoso pomeriggio gossipparo, facendo finta che ce ne freghi qualcosa. Rendendoci conto di aver speso 25 righe per commentare la seguente notizia: Chicco Mentana è il direttore del TgLa7. E punto, davvero.


Se non l'avete capito questo pezzo è in sharing con T-Mag. Capito?

mercoledì 14 dicembre 2011

I NATIVI, ESISTONO I NATIVI. SU TWITTER, PURE, STANNO

"Quando uno straniero risiede nel nostro territorio, non deve essere ne' molestato ne' oppresso. Lo straniero residente deve essere trattato come il nativo"
A parte l'ossimoro ontologico di un cardinale presidente del Pontificio consiglio della cultura (da recitare pomposamente) che pontifica su Twitter, andiamo a traslitterare, così ho usato pure tre parole difficilissime un po' a cacchio e mi atteggio a cattedratico:


"Quando uno straniero risiede nel nostro territorio"
Mi piace tanto l'uso dello "straniero" e del "nostro" nella stessa frase. Sottintende la separazione tra noi e loro, la diversificazione esplicita di quel che è mio e tuo. Io sono a casa mia, tu sei l'altro. Che vuoi? Ah, risiedi qui. Ma ricorda: tu sei lo straniero, io sono il padrone del mio territorio. Che è mio, no di un altro. 


"Non deve essere ne' molestato ne' oppresso"
Parlando di straniero in quanto categoria umana, è rinfrancante il fatto che lo straniero in quanto straniero non debba essere molestato nè oppresso. Si può fargli un sacco di altre cose, o anche no. Non lo sapremo mai, perché Ravasi ne sceglie due: molestarlo e opprimerlo. E' peccato. Nelle intenzioni, capiamoci bene, Ravasi vorrebbe condannare chi prende la pistola e spara a uno o più senegalesi. Magari a Firenze. Potrebbe dire, tipo: uccidere un altro uomo è peccato mortale. Ma questo si sa già, e Ravasi che è gggiovane dentro non vuol ridondare bubazza inutile su twitter. Quindi si attiene alla morigeratezza di prassi: non molestare lo straniero d'altro, non opprimerlo. Cazzo (rafforzativo gratuito che ce lo metto io, a iosa).


"Lo straniero residente deve essere trattato come il nativo"
Ma lo straniero non è mica solo straniero, c'è lo straniero residente. Sottocategoria con cui fare i conti. C'è gente, pensa te, che abita in Italia pur non essendo italiana. Ma noi - oggi siamo tutti un po' cardinali presidenti dei pontifici consigli delle culture - siamo moderni e odiamo le generalizzazioni, e allora scriviamo bene: stranieri residenti, no quelli che non risiedono e chissà su quali cazzo di sagrati dormono la notte. Quelli residenti vanno trattati come i nativi. Na-ti-vo. Come gli indiani dei western, ragazzi. Indigeno, quasi. Non avevo ancora mai accettato di essere un nativo, io. Perché avevo lasciato il vocabolo sugli albi di Tex, o mescolato ai distorti flussi cognitivi di Borghezio e Salvini. Non pensavo, davvero, che lo straniero andasse trattato come un nativo nel 2011. Pensavo fosse spazzatura lessicale, ormai, sta roba qui. Però oggi, se lo so, lo devo a twitter: e ad uno che nella sua bio scrive "Sacerdote e Cardinale, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura", che è una bio tanto figa che quasi quasi gliela copio. 

lunedì 12 dicembre 2011

THE HOLE (O' BUCO)

Ricordo un giorno d'inizio primavera. Si usciva dal caldo e piovoso inverno napoletano. E il famigerato "giro del Cardarelli" ingoiava al solito sospensioni, ammortizzatori, cerchioni, motorini e intere ambulanze nelle suoi buchi neri. Strada larga, la strada della zona ospedaliera di Napoli, l'arteria ostruita che trasporta malati di tutto il sud al Cardarelli, ma anche al Policlinico, al Pascale, al Monaldi, al Cotugno. Il Camel Trophy. Ve lo ricordate il Camel Trophy? Ecco, quel giorno d'inizio primavera gli uccellini cinguettavano e un uccellino del Comune di Napoli mi disse davanti ad un caffé che tutto era pronto per il rifacimento del manto stradale cittadino, ma si aspettavano le elezioni. Dopo le elezioni, mi disse, vedrai che tutto andrà a posto.
Il 10 dicembre 2011 il giornalista napoletano Ciro Pellegrino percorre una strada della Doganella con l'auto del padre. Finisce in una buca, e ci rimane. Chiama i vigili urbani e quelli gli rispondono che non accorreranno "perché non hanno la benzina per far muovere le loro auto". Oggi Ciro Pellegrino va dal meccanico, il quale gli preventiva 250 euro di danni. Ciro Pellegrino farà causa al Comune di Napoli, che è come far causa al nulla. Ciro lo definisce "il Comune più insolvente dopo Baghdad". Perché le buche, a Napoli, lo sono ontologicamente. Riassumono tutto. L'Amministrazione è in arretrato di anni sui pagamenti alle ditte di manutenzione che aspettano 93 milioni di euro. E finché non li avranno non tapperanno buca alcuna.  
Ieri il sindaco De Magistris, l'autore del motto "abbiamo scassato tutto", scrive su Twitter:
"Se il governo Monti ci garantisce i 37mln siamo già pronti per far ripartire lo "spazzamento" della Città con 300 operatori".
Cioé il Comune di Napoli è in attesa che Monti gli dia i soldi per togliere dalla strada le foglie che l'autunno ha trascinato nei tombini per far allagare la città alle prime vere piogge...
E' tutto così immutabile, dio mio. Passano le stagioni, le emergenze, le amministrazioni. Questo è il vero qualunquismo giustificato: quando la realtà delle cose rade al suolo le speranze, e le parole perdono significato. E il cittadino senza diritti, senza rete, senza giustizia è costretto a subire disservizi, vessazioni, e chiacchiere. Soprattutto le chiacchiere.

venerdì 9 dicembre 2011

FREVA, SI CHIAMA FREVA

Ma perché, dico io? Dai, lo fai apposta allora. Hai superato un girone infernale, ci hai portati agli ottavi di Champions, ti sei conquistato la sempiterna gratitudine del tifoso napoletano. Te lo dico: ti sei preso uno spicchio di storia. Ti costava tanto continuare ad evitare i microfoni? O magari assumere un bell’addetto stampa di quelli bravi? Facciamo così, te la detto io la dichiarazione perfetta: “In quel momento ero preso dalla foga, è stato un eccesso di grinta. Un momento di rabbia per i giocatori del Villarreal che perdevano tempo, loro che non avevano niente da perdere. E’ stato istinto puro. Non avrei dovuto, ho fatto un errore. Ma i ragazzi sono stati bravissimi a riprendersi”. Punto.
Ecco, caro Mazzarri, non era difficile. Bastava dire la verità. Perché tanto la città vive da mercoledì in un orgasmo prolungato, ti perdonerebbe anche l’omicidio a fin di bene. E invece sono due giorni che dichiari a reti unificate la seguente fregnaccia: “Volevo fornire un input alla squadra, ho pensato che un gesto del genere li avrebbe stimolati”. Ma per favore! Quella spinta a Nilmar sullo 0-0 era premeditata? Sei troppo avanti, scusami. Non l’avevo capito. Però vuoi sapere tutto il resto del mondo come l’ha letta? Come una scenetta patetica, l’eccesso di “freva” di un allenatore in panne. Hai fatto la figura di un piccolo tecnico, non abituato a gestire queste pressioni. Altro che Mourinho. Hai rischiato che la squadra intera andasse nel pallone, che aggiungesse tensione all’ansia da prestazione. Non è successo. E sai perché? Perché la squadra è matura, è diventata grande. E perché è una vera squadra da Champions. La tua squadra, messa in campo da te. Una meraviglia continua, ormai è chiaro a tutti. Non c’è bisogno di esagerare. Basta godersi la realtà: sei un ottimo tecnico, ma lascia stare i microfoni, ti prego.
(e questo pezzettino lo trovate pure sul Napolista)

martedì 6 dicembre 2011

LEHNERIADE (puntata 14, del dare del Cosentino a Napolitano)

Stavolta il ragionamento fa tante di quelle grinze che mi si accapponano le pelvi. I giudici vogliono arrestare Cosentino, ma voi non sapevate mica che lo facevano per "fare un colpo basso a Monti e Napolitano"... eh. #Sapevatelo!
Signore e signori, riecco a voi Giaaaaancaaarlo Lehnerrrrrr!!!!
"La Procura di Napoli e' come Emilio Fede col vizietto del gioco - al Casino' piu' perdeva, piu' rilanciava -. Dopo tanti flop interi o per quattroquinti - da Romeo a Bisignani -, i soliti pm non ci stanno a perdere la leadership della giustizia spettacolo e tantomeno lo strapotere strafottente sulle istituzioni politiche; di qui, il rilancio al buio, con la richiesta d'arresto per Nicola Cosentino. L'iniziativa persecutoria verso uno dei piu' valenti e specchiati dirigenti del Pdl- spiega Lehner- mira anche ad una perigliosa fibrillazione della maggioranza, che sostiene il governo tecnico. E', insomma, un colpo basso a Nicola Cosentino, a Mario Monti e, soprattutto, a Giorgio Napolitano"


lunedì 5 dicembre 2011

THE UNTOUCHABLES, E AMEN

Si alza una manina, e un giornalista straniero (figurarsi) domanda al Prof. Monti: "Nel decreto non è affrontata la questione del pagamento dell'Ici per gli immobili della Chiesa, come mai?".
Risposta: "E' una questione che nel pacchetto urgente adottato ieri non ci siamo posti".
E va bene così. Chiuso.
Eppure è la stampa estera, bellezza. I watchdog originali. Mica le mammolette de noantri. Nessuno che abbia il buongusto di chiedere: "Why not?".
Cioé, ci avete prosciugato i dotti lacrimali a suon di metafore "lacrime e sangue", c'è un ministro che non è riuscito nemmeno a pronunciare la parola "sacrificio" senza commuoversi, e mi dovrebbe bastare un "non ci siamo posti la questione"? Monti, poveretto, dice che lavorerà a gratis, e la Chiesa può continuare a non pagare le tasse in maniera fraudolenta? Really?
Sì, davvero. E può anche prendere ufficialmente per il culo l'Italia e gli italiani (almeno quelli che posseggono una casa) per bocca della Cei: "La manovra doveva essere più equa".
Cos'è, una candid camera?!

UPDATE: Ho approfondito la questione su T-Mag

venerdì 2 dicembre 2011

IL CICLO DEL RICICLO (IL TRICICLO)

Oggi, se vai su T-Mag, finisce che trovi quel che segue. (grazie a Fabio Germani)


Legate un osso alla coda del vostro cane, e godetevi il loop. Se volete capire come funziona il ciclo dei rifiuti nella società del consumo non avete bisogno d’altro. Se non vi piacciono le metafore, la riassumiamo così: dobbiamo produrre di più per consumare di più, perché così l’economia gira; ma così produciamo più rifiuti, che è un bel problema; allora cerchiamo di produrre di meno, così ne guadagna il pianeta; e ricicliamo, che ci tiriam su anche qualche spicciolo virtuoso; solo che se produciamo di meno le aziende richiedono meno materie prime ottenute dal riciclo; e così va in crisi il riciclo stesso. Capito il girotondo?
Non è teoria, è l’allarme lanciato dallo studio L’Italia del Riciclo, il rapporto di Fise Unire (associazione di Confindustria che rappresenta le aziende del recupero rifiuti) e della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile. “I dati raccolti nel 2011 – dicono – lasciano intravedere segnali preoccupanti per il settore, ancora lontano dal superamento della crisi dovuta alla flessione della produzione e quindi anche della domanda di materie prime ricavate dai rifiuti”.
L’industria dell’ecologia dà i numeri, eccoli qui: “Nel 2010 il settore del recupero rifiuti ha visto un’inversione di tendenza rispetto a un difficile 2009 (in flessione media del 25%)”. Tutti positivi gli indici per i sei principali flussi di materiali avviati a riciclo “che sono tornati a crescere, ad eccezione della plastica: ottimo sviluppo per i rottami ferrosi (+67,9%), buona ripresa per alluminio (+18%), carta (+9,3%), legno (+15,4%) e vetro (+7,5%), modesta flessione per il solo comparto della plastica (- 0,7%)”. Tuttavia la fase di crescita “sembra oramai già archiviata, il 2011 sta chiudendo con una nuova flessione delle produzioni e dei consumi che potrebbero concorrere a frenare nuovamente le dinamiche positive registrate nel 2010″. Il cane è impazzito, non c’è che dire: riciclare non è più un modo per alleggerire l’ambiente dal carico di deiezioni immarcescibili dell’uomo. È un’industria con l’immagine pulita. Che per pulire ha bisogno di più sporco, sempre di più.